Il capoluogo etneo ha un amore viscerale per la sua santa patrona, che tante volte lo ha protetto nelle avversità. Per ringraziarla, ogni anno a febbraio le dedica tre intere giornate, con una festa che, con oltre un milione di visitatori, è la terza della cristianità per partecipazione popolare, dopo la Settimana Santa a Siviglia e il Corpus Domini di Cuzco in Perù.
Scopriamo le origini di questa devozione e le tradizioni ad essa legate.
Il miracolo del velo
Ma qual è stato
il miracolo che le ha valso il titolo di santa? Si tratta del miracolo del velo, avvenuto
ad un anno esatto dalla morte,
quando l'Etna minacciò di distruggere Catania con una terribile eruzione. Pare che il pericolo poté essere scampato proprio grazie al
velo rosso di cui parlavamo prima,
recuperandolo dal sarcofago della santa e portandolo davanti al fiume di lava che, straordinariamente,
avrebbe fermato il proprio corso.
Nei secoli, la santa ha più volte rinnovato la propria
protezione verso la sua città, proteggendola dalla
furia di Federico II, dagli
attacchi dei Mori, mettendola al riparo dai
terremoti
e sconfiggendo la
peste.
Per questo il ringraziamento, ogni anno, attraverso le
celebrazioni di febbraio, non può che essere estremamente
sentito e speciale.
3 febbraio
Le celebrazioni iniziano il 3 febbraio
con la tradizionale
offerta della cera
da parte dei fedeli.
È fondamentale la presenza delle undici candelore, grossi ceri decorati e rappresentativi delle corporazioni o dei mestieri, che vengono trasportati con un andamento ondeggiante – definito in maniera dialettale
annacata –
facendoli
di fatto
danzare a ritmo di musica; un aspetto sorprendente soprattutto se si considera che
ognuno di essi può pesare anche 100 kg.
Ogni candelora è accompagnata dalla sua banda che ne annuncia l’ingresso nel quartiere visitato: c’è quella dei
giardinieri
e dei
fiorai, quella dei
pescivendoli, quella dei
panettieri, la più pesante di tutte.
Negli ultimi anni hanno fatto la loro comparsa anche le ntuppatedde, dette
spose di Agata, che, vestite di bianco, portano in mano un garofano rosso, simbolo di passione nei confronti della vita.
Questa prima giornata si conclude in serata in piazza Duomo con i famosi
botti do’ tri,
giochi pirotecnici che si dice servano a svegliare la santa.
4 febbraio
La festa, tuttavia,
è solo cominciata. Sono le
cinque del mattino
quando il parroco della cattedrale, il sindaco e il cerimoniere, ciascuno con la propria chiave,
aprono la cameretta che custodisce il busto e lo scrigno d'argento contenente le reliquie della santa. Questi sono
portati in trionfo sulle spalle e salutati da una folla di
fazzoletti bianchi. Subito parte un
grido
che si ripeterà nei giorni successivi: “Cittadini semu tutti devoti tutti?” a cui rispondono tutti in coro “Citta’, citta’”, l’abbreviativo del termine cittadini, ad indicare come
l'essere cittadini implichi essere devoti di Sant’Agata.
Il busto e il reliquario vengono adagiati sul fercolo che, dopo la messa delle sette, viene
trasportato
in giro per la città
dai devoti vestiti del tradizionale sacco, un camice di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino.
La processione del 4 dura l’intera giornata.
Dopo il terremoto del 1693, le
strade
della città sono state
ricostruite a misura della processione e negli anni, data la grande partecipazione,
si è deciso di estendere i festeggiamenti, che inizialmente riguardavano solo il 5, anche al 4,
ideando due percorsi per il fercolo, i cosiddetti
giro esterno e
giro interno.
5
febbraio
Il 5 è invece dedicato al giro interno. Dopo la messa mattutina,
il fercolo, adornato di garofani bianchi, simbolo di purezza – mentre
il giorno prima lo era di
garofani rosa, simbolo di martirio e passione –,
percorre la via più importante di Catania,
la via Etnea, preceduto sempre dai portatori di ceri accesi e dalle
candelore. Queste,
portate in spalla, precedono il fercolo in processione, ricordando la
funzione di illuminare il cammino che avevano un tempo.
A tarda notte il busto e le reliquie giungono nel quartiere del Borgo - famoso perché accolse i profughi da Misterbianco dopo l’eruzione del 1669 - dove sono ancora i fuochi d’artificio a segnare un momento di sosta e di acclamazione.
Si ha poi la lenta ridiscesa lungo la via Etnea, fino ai piedi della
seconda e più ripida salita, quella di San Giuliano, che anche in questo caso i devoti percorrono di corsa.
La sera tardi il busto e lo scrigno reliquiario vengono rinchiusi nuovamente nella cammeredda e l'ultimo spettacolo pirotecnico segna la fine dei festeggiamenti.
Purtroppo quest'anno non sarà possibile festeggiare come sempre, per via delle restrizioni e dei divieti di assembramento. Rimangono comunque la fede e la devozione per una santa che trascina con sé un
culto di dimensioni enormi, dall'Italia, in cui si contano ben
44 comuni di cui è patrona, all’Andalusia, alla
Germania, fino all’Argentina, all’India e agli
Stati Uniti.
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