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Il Festino di Santa Rosalia nei Diari del Villabianca

Articolo tratto dalla Rivista Kalós n.1/2 del 2008


Il Festino di Santa Rosalia nei Diari del Villabianca

Testo di Valeria Manfrè

Nell’immagine Paolo Amato, carro trionfale di Santa Rosalia, da Diario palermitano del 1800


l diari del marchese di Villabianca, corredati da numerose illustrazioni, costituiscono una documentazione preziosa del teatro di Santa Rosalia e del contesto culturale della Palermo tra Sette e Ottocento.


Francesco Maria Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, è una singolare figura di diarista al quale va ascritto il merito di aver minuziosamente raccontato nei suoi Diari quasi sessant’anni di storia palermitana dal 1743 al 1801. In questa amplissima produzione un posto di rilievo ha la documentazione relativa al Festino di Santa Rosalia, dalle origini alla prima metà del Settecento, cui fa seguito la cronaca di diretta testimonianza. Da questo punto di vista l’opera del Villabianca costituisce una fonte indiretta per tutta la prima parte e diretta per la seconda metà del Settecento. La figura del marchese è emblematica del passaggio dalla ritualità antica, collegata al dominio diretto della Spagna in Sicilia, all’epoca borbonica, nella quale Palermo si trova ad assumere un ruolo politico subalterno a Napoli. In questo contesto di incertezze e di conflittualità interne non sempre sommerse, la figura del Villabianca si propone come testimone, e in qualche modo promotore, di valori di un passato da poco scomparso. I Diari palermitani, conservati presso la Biblioteca Comunale di Palermo, iniziano dall’anno 1743, con annotazioni che nascono da operazioni mnemoniche di recupero, e appaiono perciò contrassegnate da una sommarietà che le rende meno precise di tutte quelle che il marchese verrà compilando meticolosamente nei suoi successivi Diari.
Gioacchino di Marzo, tenendo conto di quanto fin qui detto, pubblicò i
 Diari palermitani dal secondo volume, e cioè dall’anno 1746 al 1784. Dal 1784 sino al 1802, anno della morte del Villabianca, essi rimarranno manoscritti.



I Diari palermitani: il corredo illustrativo


Le opere manoscritte del Villabianca sono corredate da illustrazioni secondo un progetto iconografico realizzato dallo stesso autore. Esaminando la mole dei 25 volumi dei Diari, possiamo constatare che il loro contenuto è integrato da una serie di schizzi a penna spesso acquerellati, numerose incisioni a torchio calcografico, ritagli di gazzetta, bandi a stampa e da altrettante illustrazioni incise che offrono un sussidio non trascurabile all’ambientazione dei Diari e che si suppone fossero in possesso dello stesso marchese. Tali materiali venivano applicati come frontespizi, talora in testata o in finale di una cronaca, colorati frequentemente dall’autore ad acquerello.
Nella prefazione alla sua edizione il Di Marzo avverte dell’omissione della gran parte dei documenti a stampa. Se l’omissione fu parziale, nessuna delle incisioni presenti nei Diari, che nelle intenzioni del marchese avrebbero dovuto costituire le illustrazioni della sua opera, fu riprodotta. Il pretesto fu additato nello scarso pregio artistico dei disegni e delle stampe incise, anche se oggi possiamo ipotizzare che il Di Marzo non le pubblicò soprattutto per motivi di economia editoriale. Per quanto riguarda il corredo iconografico relativo alla festa di Santa Rosalia, non tutti i fogli dei Diari furono corredati da stampe. Incontriamo una prima incisione solo a partire dal Diario del 1768, firmata 
Garofalus Sculp., raffigurante Santa Rosalia giovinetta. Gli anni che seguirono al 1768 sono privi di stampe, mentre si ritrovano nei Diari del 1779 e, ad opera di Giuseppe Gramignani, nel 1783. Le immagini dei Diari che vanno dal 1798 al 1801 sono ricavate dal libro del biografo princeps della Santa, Giordano Cascini, Di Santa Rosalia romita palermitana…, Palermo 1651. Nel Diario del 1800 il marchese inizia a descriverci la macchina pirotecnica che era solita farsi durante il Festino, avvertendo però che non fu quella che si usò durante la festa. La stampa del Diario, mutila nella parte superiore e laterale, è in realtà la stessa che a suo tempo era stata inserita da Pietro la Placa nella sua Relazione delle pompe festive…, Palermo 1739, ideata da Nicolò Palma per le nozze nel 1738 di Carlo III, l’incisione è di Antonio Bova. Possiamo immaginare che il Villabianca, vedendo in questo apparato una forte somiglianza con quello che si dovette realizzare per la festa di Santa Rosalia nel 300, ripropose tale stampa, e non quella della festa, o perché non ne era in possesso, o perché, molto più probabilmente, non si realizzò affatto, al momento che nessuna delle stampe che corredavano le cronache del tempo ci è pervenuta. Dello stesso anno è la stampa del Carro: “La figura qui inserita di un carro che fù veduto una volta ne tempi antichi serve di diletto à chi mai à veduto queste feste di Palermo e se ne persuade in fotografia cosa egli ne sia”. Sappiamo dell’uso di un carro trionfale in occasione delle feste in onore della vittoria di Filippo V nel 1710 a Prifuega. Purtroppo Pietro Vitale, autore del ragguaglio, non ci dice se questo apparato mobile venne costruito ex novo e usato successivamente nella festa di Santa Rosalia del 1711, o piuttosto se esso fosse lo stesso che era già stato usato nel 1710 per i festeggiamenti della Santuzza. Oggi la stampa ritrovata all’interno del Diario, sebbene non faccia chiarezza riguardo allo scopo e alla cronologia della sua creazione, rende certo il suo utilizzo per la festa della Santa. II Villabianca utilizzò la stampa del carro di Filippo V sostituendo la figura del sovrano con una figura femminile più simile ad una Madonna che alla Patrona, data la mancanza della corona di rose, attributo iconografico di quest’ultima. Per il Diario del 1801 il Villabianca inserisce una stampa che rappresenta l’altare maggiore della Cattedrale di Palermo, ritagliata dal ragguaglio di Giuseppe Maria Polizzi, L’aquile confederate…, edito a Palermo nel 1684, ma nessun commento accompagna l’incisione. La morte coglierà il Villabianca il 6 febbraio del 1802. La sua ultima annotazione nel Diario risale al 21 gennaio dello stesso anno. Sfogliando il Diario di questo scorcio di anno, il volume si presenta quasi privo di testo ma ricco di schizzi, disegni e stampe. Questo ci permette di capire che il Villabianca collezionava buona parte del materiale grafico da inserire nel Diario, prima ancora di iniziare a scriverlo. Si può osservare che i fogli che avrebbero dovuto accogliere la descrizione della festa erano stati arricchiti da stampe di Santa Rosalia, alcune ritagliate dal testo del Cascini. Ciò forse spiegherebbe anche l’inserimento di numerose postille e fogli.



Manipolazioni ed effetto deformante tra le parole del Villabianca


La lettura dei Diari del Villabianca va fatta tenendo presente l’effetto deformante provocato dalla sua personalità di uomo retto, ma notevolmente condizionato dal bigottismo e dalla mentalità del tempo. La passione maniacale di diarista va inquadrata in questa direzione: osservare attentamente e minuziosamente il presente servendosi della memoria dell’antico, come sopravvivenza che legittimi il ruolo di una nobiltà ormai in crisi. Le descrizioni delle feste tardosettecentesche sono una testimonianza molto eloquente di questo tipo di approccio. Basti osservare le immagini del Festino presenti nei Diari di cui il Villabianca si serve per illustrare l’articolazione di questo evento festivo, tutte riprese da incisioni preesistenti riferibili dalla seconda metà del Seicento alla prima metà del secolo successivo. Si tratta, in un certo senso, di fantasmi muti che ritornano attraverso strane manipolazioni e adattamenti ideati dal diarista. Pur iniziando a narrare gli avvenimenti già dal 1743, ricordiamo che è solo dal 1745 che il Villabianca introduce nei suoi Diari la cronaca del Festino. Da quel momento il Festino e i veri artefici dell’evento furono oggetto di critiche severe, abbondantemente annotate dal marchese.
Nel 1797 l’autore si dilunga nel raccontare gli incidenti cui fu protagonista il carro causa dell’aumento in altezza e conseguentemente del peso. Non perde occasione per ricordare il passato ed elogiare gli antichi che “oh quanto pensavano meglio di noi […j in vece di un Carro cotanto alto e difficile di menegiarsi ne fecero quattro carri cioè trè dell’ugual grandezza d’uno più grande che superava gli altri”. Non risparmierà parole altrettanto amare per “l’ingegnere della città Pietro Raineri e il capo mastro Gaetano Labita additandoli quali colpevoli di questi disordini e colpevole il primo cioè l’ingegnere Raineri per non avere pensato sbilanciato l’enorme gravità del peso che vi s’indossava […] e colpevole il secondo capo mastro Labita che non visitò la fortezza di tanti intoppi, e traversie avverate nella mossa del Carro” . Il passaggio del carro trionfale durante la festa del 1798 gli ricordò la visione degli “antichi Carri trionfali che anticamente negli anni miei giovanili solea ogni anno godere cioè di una leva più leggiera e di un’altezza proporzionata fatti per lo più ad un ordine di architettura e non più di tanto. E questa era la ragione che di rado deploravansi le rotte, e disgrazie di affondare, e far danni come è succeduto ne’ tempi presenti” . È lui stesso a lamentare la mancanza di quel fasto che caratterizzava le passate feste della Patrona. “Voglio dire che ove nelle passate vi sono state in città e in parrocchie e piazze e strade delle belle funzioni e dimostrazioni publiche, fuochi e razzi particolari. In questa festa non ve ne fù una”. Il Villabianca, oltre ad essere un accurato osservatore del Festino dalle origini a tutto il Settecento, è il narratore degli aggiornamenti che guardano l’evoluzione ottocentesca della festa medesima. In ogni caso, al di là dell’ideologia che la sottende, l’opera del Villabianca offre un patrimonio documentario di notevole importanza e per questo motivo risulta essenziale portare uno sguardo ravvicinato al documento, sì da sollecitare ulteriori approfondimenti al di là del singolo tema del Festino


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