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Le capriate dipinte di S. Lucia a Siracusa

Articolo tratto dalla Rivista Kalós n.2 del 1995


Le capriate dipinte di S. Lucia a Siracusa

Testo di Giovanni De Francisco

* docente di storia e filosofia

Fotografie di Alfio Garozzo


Il tetto dipinto di Santa Lucia extra moenia, riscoperto in seguito i restauri degli anni ’40, svela inedite iconografiche sacre e profane, manifestazione di grande talento tecnico e artistico.


Attraverso uno squarcio nella settecentesca volta a botte della chiesa di S. Lucia extra moenia, a Siracusa, si intravvide, nel corso di un intervento di restauro condotto nel 1939, la travatura di un soffitto dipinto medievale. Si pose quindi un dilemma: se la moderna volta in muratura dovesse essere soltanto riparata e ripristinata, rispettando la facies unitaria acquisita dalla chiesa in seguito alle rielaborazioni barocche; ovvero se si dovesse eliminarla del tutto, riscattando da un secolare oblio il prezioso ” tectum depictum”, documento di sicuro interesse dell’architettura chiesastica di Siracusa in età aragonese. La Sovrintendenza ai monumenti, posto che il soffitto si presentava in “istato di conservazione tale da meritare senz’altro la rimessa in valore” optò per la seconda soluzione. Fu avallata in tal modo un’operazione coraggiosa che farebbe discutere non poco, oggi, gli “addetti ai lavori”. I sui risultati furono comunque eccellenti. La vetusta travatura lignea dava ora risalto alla componente medievale dell’edificio, prima rilevabile soltanto all’esterno, nel portale e nel rosone sulla facciata, nella torre campanaria e nelle absidi.

La nuova articolazione dell’interno dell’edificio era il punto di arrivo di plurisecolari vicende, sulle quali vale la pena di fermare brevemente la nostra attenzione.

La chiesa di S. Lucia extra moenia sorse in epoca bizantina, nell’immediata prossimità del sepolcro della martire siracusana, ove già ne VI secolo era presente una fiorente comunità monastica. Dalle condizioni di decadenza in cui si era ridotta durante la dominazione musulmana si risollevò con l’avvento dei normanni. Fu allora ricostruita e restituita al culto. Interventi di rilievo furono messi in atto nel periodo aragonese, nei primi del secolo XIV e nella seconda metà del XV. Nel terzo decennio del Seicento l’interno subì un rinnovamento radicale, su probabile progetto di Giovanni Vermexio. Nel secolo successivo l’edificio si arricchì del portico esterno, attribuito a Pompeo Picherali, momento di splendido, garbato dialogo della chiesa con la piazza antistante. Ma all’interno una pesante ondata di decorazioni a stucco turbava la linearità delle strutture architettoniche, mentre la navata centrale veniva coperta da quella volta lunettata che avrebbe nascosto fino a tempi recenti la travatura medievale.


Il restauro delle capriate


Restituite alla luce, le capriate dipinte si presentano oggi in condizioni di ottima fruibilità, in seguito ai restauri realizzati cinquant’anni or sono da prof. Orazio Nocera. Esse si stagliano sullo sfondo delle undici campate del soffitto, le quali sono del tutto disadorne: un fatto certamente curioso, quando si consideri che negli esemplari di soffitti realizzati in Sicilia tra XII e XV secolo le decorazioni si dispiega senza interruzioni per tutte le superfici disponibili. Lo possiamo constatare nella cattedrale di Cefalù, nella chiesa di S. Maria dei Greci ad Agrigento e nella cattedrale di Nicosia.

Si può ragionevolmente desumere che l’apparato decorativo esteso in origine, oltre che alle strutture portanti, all’intera copertura lignea, si sia impoverito di numerosi elementi-tavolette, travi-mensole, nel corso dei lavori realizzati in seguito al terremoto del 1693.

Fitte costellazioni di stelle a otto punte, di ispirazione islamica, si snodano lungo i fregi delle travi, alternandosi con serie di rosoncini quadripetali, crocette, fiorami.

Un ruolo da protagonista tocca all’araldica. Disseminati sulle facce di puntoni e catene, si possono contare circa duecentocinquanta stemmi, racchiusi entro medaglioni, spesso contornati da eleganti motivi floreali. Si ripetono in gran numero le insegne degli Aragona di Spagna, secondo diverse varianti – due, tre, cinque fasce verticali rosse su fondo giallo, o solo i due colori rosso e giallo accostati – e quelle degli Aragona di Sicilia, con la consueta quadripartizione a croce di S. Andrea, includenti, ai lati, il motivo dell’aquila imperiale federiciana, nera su fondo bianco; nelle parti superiore e inferiore, i colori aragonesi, rosso e oro. Altrettanto numerosi gli emblemi della città di Siracusa, secondo la formula antica, adottata per tutto il cinquecento: una porta turrita bianca su fondo rosso. Di altri tre stemmi, appartenenti con tutta probabilità a famiglie gentilizie locali, non sono pervenuto ad alcuna plausibile identificazione.

In numerosi riquadri della quinta e della ottava capriata è raffigurata una nave – un unicum, nel campo dei temi ornamentali relativi ai soffitti -, una allusione, forse, alla naturale vocazione marinara della città aretusea. Notiamo con sorpresa, su un fregio della settima capriata, una sorta di natura morta ante litteram: due vasi ad un’ansa, ad ampi imboccatura, accostati a due brocce dal collo sottile. Altri vasi sono raffigurati accanto a bicchieri, entro riquadri, o, isolatamente, all’interno di medaglioni. Si tratta di un elementare tributo alla quotidianità, che ricorda qualcosa di simile visto tra le pitture del soffitto della cattedrale di S. Nicolò, a Nicosia, ai margini della quarta campata: una caratteristica brocca con tre cannule, probabile riflesso della produzione ceramica locale.

Tra i motivi raffigurati notiamo rare droleries, e indefinibili bipedi e quadrupedi con una foglia pendente dalla bocca. Su un fregio della quinta capriata sono presenti le uniche rappresentazioni antropomorfe: due figure di Sante – l’una con certezza Sant’Agata, l’altra probabilmente Santa Lucia – ai lati di una Vergine col Bambino. Una fettuccia bianca percorre per intero i bordi dei fregi e serve da stacco tra i singoli riquadri.

Colori prevalenti, accanto al rosso e al nero, usati comunemente per gli sfondi, sono il giallo, il verde, il bianco. Distribuiti secondo una minuta parcellizzazione, senza alcuna soluzione di continuità, tra forme geometriche, girali di foglie, figure di animali o di santi, essi determinano quell’effetto “caleidoscopico” di cui si è parlato a proposito degli islamizzati soffitti dipinti medievali del Levante iberico.


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