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Palazzo Alliata di Villafranca. La vicenda storica

Articolo tratto dalla Rivista Kalós n.1 del 2007


PALAZZO ALLIATA DI VILLAFRANCA. LA VICENDA STORICA
Testo di Dario Lo Dico


Capolavoro architettonico la cui storia si intreccia con quella della famiglia che lo abitò per quasi trecento anni e simbolo del suo potere economico e sociale, il palazzo domina con la sua estesa facciata una quinta dell’antico piano d’Aragona, catalizzando l’attenzione dell’osservatore-spettatore non solo contemporaneo.


Capolavoro architettonico la cui storia si intreccia con quella della famiglia che lo abitò per quasi trecento anni e simbolo del suo potere economico e sociale, il palazzo domina con la sua estesa facciata una quinta dell’antico piano d’Aragona (chiamato successivamente delli Bologna per la presenza di numerose case appartenenti a tale famiglia), catalizzando l’attenzione dell’osservatore-spettatore non solo contemporaneo. Già i cronisti e gli storici sette-ottocenteschi ne riportano appassionate descrizioni, come fa Pietro Vitale che, descrivendo gli apparati realizzati per la visita cittadina di Vittorio Amedeo II di Savoia, scrive: “Il teatro poi il più magnifico, più ricco e più vago, in cui gli sguardi avevano molto da alimentarsi, da felicitarsi, fu il nobilissimo prospetto, che apparecchiò con doviziosa, e dilettevole varietà di apparati sopra il largo della piazza Bologni il Principe di Villafranca. La maestosa facciata del palazzo non ebbe drappo da desiderare”. D’altronde la famiglia che lo abitò fu una delle più importanti del Regno di Sicilia, una di quelle che possedevano con la terra il dominio dell’Isola. Ed è sufficiente leggere qualcuno dei puntualissimi inventari di beni posseduti dalla famiglia, e transitati per via testamentaria (come quello redatto nel 1787 sui beni ereditari di Don Domenico Alliata, o ancora l’inventario dei beni indicati nel testamento di Agata Valguarnera e Alliata del 1864), per farsi un’idea dell’antico fasto della settecentesca dimora, della consistenza del patrimonio della famiglia Alliata e dell’opulenza delle collezioni presenti nel palazzo. Dal 1988 invece il palazzo, insieme alle sue collezioni, è divenuto, per disposizione testamentaria della principessa Rosaria Correale e Santacroce, vedova di Giuseppe Alliata XV principe di Villafranca, proprietà del Seminario Arcivescovile di Palermo e delle sorelle della stessa. Agli eredi Alliata, per uno di quei bruschi stravolgimenti delle vicende umane, rimane solo il ricordo dei tempi trascorsi fra le mura della dimora, insieme alla nostalgia che vela le loro parole: “Quelle mura, silenti e inerti, storia e architettura dovevano avere assorbito nei secoli qualcosa dai tanti Alliata che lo avevano edificato e vissuto con la convinzione e la dignità del proprio ruolo — racconta Francesco Alliata di Villafranca —: “mi dettero sempre un senso di inalterabile sicurezza, quasi di eternità, perché parlavano del passato recente e remoto, accoglievano con un abbraccio il presente e rassicuravano sul futuro. Avevano un’anima ma tanto che ogni volta che rientravo da un viaggio ero colto da un momento di smarrimento, mi veniva istintivo toccare quelle mura e mi ci appoggiavo per sentirmi ridare forza, come un novello Anteo…”. A queste parole sembrano fare eco quelle utilizzate da Giuseppe Tomasi di Lampedusa per descrivere la propria casa natale nel racconto L’infanzia: “Anzitutto la nostra casa. La amavo con abbandono assoluto. E la amo ancora adesso quando essa da dodici anni non è più che un ricordo”. In questo caso però erano stati i bombardamenti aerei che flagellarono Palermo fra l’aprile e il maggio del 1943 a ridurre in macerie l’aristocratica dimora di via Lampedusa-via Bara all’Olivella.



L’origine del palazzo


Gli Alliata erano giunti in città, insieme ad altre famiglie della nazione pisana (Gaetani, Marchese, Vanni, Malvagna, Lancia, Ajutamicristo), fra il XIII e il XIV secolo.
Dapprima avevano preso dimora nel cosiddetto quartiere dei Pisani (attorno la chiesa di San Francesco d’Assisi), facendo realizzare lungo l’omonima via (odierna via Alessandro Paternostro) una sontuosa dimora estesa longitudinalmente e caratterizzata da due torri angolari, ancora visibili, nonostante le trasformazioni apportate alla facciata dai nuovi proprietari, in un’incisione realizzata nel 1734.
Nel 1684, però, Francesco Alliata e Lanza, settimo barone e terzo principe di Villafranca e duca di Sala Paruta, consapevole del potere economico raggiunto dalla propria famiglia e del rafforzato ruolo politico dei suoi membri, decideva di trasferire la propria dimora, ed iniziare l’edificazione di un nuovo palazzo in quello che dal 1567-1568 era divenuto il principale asse politico ed economico della città: la via Toledo’ e precisamente nel piano “delli Bologna”. La sua famiglia, in realtà, già dal 1604, come risulta dai documenti dell’archivio Alliata, aveva dimostrato un certo interesse per il sito, avendo donna Francesca Gravina e (sfar, moglie di Francesco Alliata e Paruta primo dei principi di Villafranca, acquistato alcune case prospicienti il piano dei Bologna da don Alojsio Bologna. Queste erano purtroppo gravate da numerosi pesi che provocavano non pochi problemi a Giusepppe Alliata e Gravina e al figlio Francesco Alliata e Lanza (nipote del precedente Francesco Alliata e Paruta) che nel 1648 si vide costretto a rivenderle insieme con il privilegio della Strada Toledo e Maqueda. Solo nel 1683 gli Alliata ripresero possesso delle case che erano state dei Bologna, libere da ogni gravame, grazie alla donazione fatta dal sacerdote Filippo Invoglia e, dall’anno successivo, poterono iniziare la costruzione della nuova dimora che proseguì fino al 1697. L’aspetto del palazzo in que-sto periodo è documentato in due incisioni di Francesco Cichè, una inserita nell’opera di Pietro Vitale, Le simpatie dell’allegrezza tra Palermo capo del Regno di Sicilia e la Castiglia del 1711 e l’altra in un’altra opera del Vitale dal titolo La felicità in trono su l’arrivo, acclamatione e coronatione delle reali maestà di Vittorio Amedeo Duca di Savoia e di Anna d’Orleans… celebrata con gli applausi di tutto il regno tra le pompe di Palermo Regia Capitale del 1714. Come si ricava dalle due incisioni il palazzo aveva già raggiunto l’attuale estensione ed era caratterizzato da due portali speculari posti alle estremità della facciata e da una lunga teoria di balconi e aperture al piano nobile e al piano cadetto. Fu, però, con i lavori svolti fra il 1751 e il 1758 che palazzo Alliata assunse l’aspetto attuale. Questi ebbero inizio principalmente per far fronte ai danni cagionati al palazzo dal violento terremoto del 1751 e continuarono per adeguare la dimora al-le esigenze dei nuovi sposi Don Giuseppe Letterio Alliata e Donna Felicia Colonna che dal 1752 avrebbero preso ad abitare la grande casa. I lavori riguardarono principalmente il consolidamento delle precedenti strutture insieme alla riconfigurazione della facciata principale, alla sopraelevazione di un piano, e alla sistemazione delle scuderie per adattarle al servizio di correria nel frattempo trasferito nel palazzo. Per l’occasione si provvide anche al rinnovo dei mobili, de-gli apparati interni, delle tappezzerie e di tutte le suppellettili. I lavori, come risulta da alcuni do-cumenti dell’archivio Alliata, furono diretti dall’architetto Giam-battista Vaccarini, celebre esponente della cultura barocca siciliana, coadiuvato dall’architetto Francesco Ferrigno e da Giovan Battista Cascione. A questa fase risale anche l’intervento di Gaspare Serenario che curò la de-corazione di alcune volte dei saloni del piano nobile nei quali affrescò, fra gli altri, La gloria dei principi Alliata e S. Dazio in adorazione della Vergine (ancora esistente nel cosiddetto “sa-lotto verde”). Questa volta è un’incisione realizzata da Antonino Bova e contenuta nell’opera Lo Stato presente della Sicilia o sia breve e distinta descrizione di essa del sig. Abate Arcangiolo Leanti, del 1761, che restituisce un’immagine della facciata del palazzo degli Alliata insieme a quella della magnifica dimora degli Ugo delle Favare, e del convento dei padri Carmelitani con la settecentesca chiesa di S. Nicolò di Bari. Nella stessa immagine sono oramai visibili i due stemmi apposti sulla facciata che, come riferito dal Palermo nella sua Guida istruttiva per Palermo e dintorni, contengono “lo stemma gentilizio della propria e di altre famiglie alla medesima per matrimonii alleate”. Fra fine Ottocento e il primo sessantennio del Novecento nuovi lavori realizzati nella parte nobile del palazzo comportano una parziale riconfigurazione degli interni. Anteriore al 1890, anno a cui risale la perizia giudiziale firmata dall’ing. Filippo La Porta, è la risistemazione su progetto dell’architetto Salvatore Mondini, dello scalone d’onore “in stile” neo-gotico e la decorazione del salone d’ingresso, a quella data già coperto “da un bel soffitto piano di recente ristaurato e decorato in stile arabo normanno” (A.S.P. fondo Alliata B.1288, p.59). Del 1929 sono, invece, i lavori promossi dalla principessa Vittoria San Martino e Ramondetta volti “alla razionalizzazione dell’intero appartamento” del piano nobile. In questa occasione vengono decorate le pareti dello scalone d’onore, viene collocata, in cima allo scalone, la grande vetrata datata e firmata da Pietro Bevilaqua, e viene riallestita, seguendo la moda del revival, la Grande Galleria o Sala dei Musici. Non si conosce tuttavia il progettista di tali interventi, riconducibili alla cultura figurativa neomedievalista, e ascrivibili secondo quanto ipotizzato da Giovanni Travagliatoll al professore Ettore Gabrici, grande intellettuale, illustre archeologo e secondo marito della principessa Vittoria San Martino, vedova del principe Gabriele Alliata e Bazan. Nel ’43, poi, i bombarda-menti alleati diretti a colpire palazzo Belmonte Riso, sede del Partito nazionale fascista, fortunosamente scansano il palazzo interessando solo parzialmente le decorazioni dello stirato di saloni prospicienti piazza Bologni e l’ala su vicolo Panormita. Negli anni Sessanta il palazzo subisce ancora pesanti rifacimenti che ne sconvolgono l’antico assetto (fra i quali la trasformazione del piano cadetto e l’affitto dei locali ad alcuni dipartimenti universitari) e dopo la disposizione testamentaria di Rosaria Correale il palazzo dal 1988 diviene di proprietà parte del Seminario Arcivescovile e parte delle sorelle Correale. Da ultimo nel 2004, il Consiglio Comunale ha approvato una variante al Piano Particolareggiato Esecutivo per il centro storico mutandone la destinazione d’uso ed autorizzando l’utilizzo e la trasformazione della dimora (fatta eccezione per il piano nobile che dovrebbe divenire museo di se stesso) in struttura alberghiera.


Per leggere l’articolo completo acquista Kalós n.1 del 2007


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