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Monte Arcivocalotto e quello strano foro nella roccia: la misura del tempo nella preistoria

Come facevano gli antichi a misurare il tempo e lo scorrere delle stagioni? Ingegnandosi, come nel caso del foro sulla roccia di monte Arcivocalotto, passaggio per la luce solare all'arrivo dell'estate e dell'inverno e ottima meta per gli amanti del trekking e dell'archeologia.

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La valle dello Jato

La Valle dello Jato è un territorio da sempre favorevole all’insediamento umano per la presenza della preziosa sorgente d’acqua fornita dal fiume omonimo, che la attraversa per buona parte.

Questa zona costituisce un sito ricco di interesse, in particolare, per gli appassionati di archeologia, con i suoi resti risalenti a diverse epoche storiche, ma anche per gli amanti dell’astronomia.

Come possono queste due discipline, apparentemente tanto distanti tra loro, essere legate?

Si parla di archeoastronomia, una disciplina che studia l'utilizzo e l'interpretazione dei fenomeni celesti da parte degli antichi. Essa può dare risposta a molte domande, ad esempio: come facevano gli antichi a tenere conto del passare dei giorni e delle stagioni?


Monte Arcivocalotto 

Sappiamo che, a partire dalla prima metà del III millennio a.C., la probabile adozione di tecniche di produzione agricola più sofisticate dovette permettere lo sfruttamento di terreni di estensioni maggiori, con la conseguente colonizzazione di aree precedentemente deserte. Nella Valle dello Jato, sono circa 30 gli insediamenti che sono stati individuati, il più importante dei quali è quello sul monte Arcivocalotto, sicuramente abitato tra l’Eneolitico e l’antica età del Bronzo antico e poi in epoca romana e medievale.

Alto 570 m e collocato a pochi chilometri dalle pendici meridionali di monte Iato, nel territorio comunale di Monreale, il sito è stato segnalato per la presenza sulla sommità del monte di un megalite, sul cui spessore è stato ricavato artificialmente un ampio foro di circa 2 m di diametro.

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Misurazioni astronomiche

Si è ipotizzato che si tratti di un indicatore astronomico, di epoca preistorica, ricavato al fine di segnalare l’alba del solstizio d’inverno e, con 180° di differenza, il tramonto del solstizio estivo. Per alcuni giorni attorno alla data del solstizio d’inverno, infatti, il sole, osservato dal pianoro sottostante, appare al centro del foro attorno alle 8 del mattino.

Similmente, nei giorni vicini al 21 giugno, nonostante il paesaggio accidentato e montuoso, il sole calante dietro il lontano Capo San Vito entra all’interno della pietra forata.

La ripetizione del fenomeno per qualche giorno potrà avere consentito di aspettare condizioni di visibilità migliori nel caso di cielo nuvoloso.

Se si considera l'importanza che l'agricoltura rivestiva per queste popolazioni - la Sicilia verrà definita, in epoca romana, "granaio dell'impero" - si capisce la necessità di tenere conto dello scorrere delle stagioni, per organizzare la semina dei terreni e tutte le altre pratiche correlate.

In Sicilia, la maggior parte dei monumenti di questo tipo presenta fori di grandi dimensioni, probabilmente perché i fenomeni astronomici dovevano essere osservati da lontano, magari anche da gruppi umani numerosi. 

E in effetti la roccia e il grande foro al suo centro sono visibili anche da alcuni chilometri di distanza. Per ottenere questi risultati, il luogo dove aprire il foro nella roccia dovette essere scelto con estrema cura, con l’altezza e l’inclinazione esatta per intercettare il sorgere del sole, come si vede nell'immagine in basso.

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Il soprannome "U Campanaru"

Nei paraggi, la roccia è chiamata u Campanaru, “il Campanile”.

Questo soprannome, se da un lato può semplicemente fare riferimento alla somiglianza con la parte superiore di un campanile, con il vano, quello costituito dal foro, in cui oscilla la campana, dall’altro lascia ipotizzare che il foro avesse una qualche finalità connessa con il sacro, con lo scorrere del tempo e con la sua misurazione

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Il simbolo della triplice cinta

Al di sotto della parete esterna nord-ovest, su un lungo gradino di roccia, è incisa una figura a quattro quadrati concentrici, con quattro segmenti che incrociano ad angolo retto i quadrati a metà di ciascun lato: si tratta di una elaborazione del diffuso motivo della “triplice cinta”, sul cui ambiguo significato il dibattito della comunità scientifica è ancora in corso.

Essenzialmente, sono due le scuole di pensiero: quella che lo ritiene un gioco e quella che lo considera un simbolo, magari legato ai tre gradi di iniziazione delle scuole antiche religiose o alla vita terrestre in opposizione al cielo.

Qualunque sia il significato, è notevole come i due segmenti siano incisi lungo l’asse mediano del foro, con cui coincidono perfettamente.

Sotto la roccia forata, raggiungibile in sicurezza solo con corde, si apre una tomba a grotticella con ancora all'interno materiale ceramico del Bronzo antico.


Pizzo Pietralunga

Nelle vicinanze si trova Pizzo Pietralunga, una sorta di grande scoglio calcareo isolato che emerge dal paesaggio collinare circostante, innalzandosi di circa 150 metri dal piano di campagna e rimanendo ben visibile a chilometri e chilometri di distanza.

Nel Medioevo l’enorme roccia isolata rappresentava probabilmente un facile e immediato riferimento per l’indicazione dei confini delle terre circostanti.  Considerando le dimensioni, la posizione, il profilo e la sua visibilità da lunga distanza, potrebbe avere attratto l’attenzione anche degli abitatori preistorici della zona. Ai suoi piedi si estende infatti una vasta area archeologica di circa 4.500 metri quadrati, con materiali dell’Eneolitico e dell’età del Bronzo antico.


Insomma, se vi trovate nei paraggi, non possiamo che consigliarvi questo splendido sito per un'escursione che, tra natura, archeologia ed esoterismo, accontenta davvero tutti!


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